Dopo Per amici
assenti, dove le storie e la musica e le persone si muovevano negli anni
settanta e ottanta, ho sentito il bisogno di tornare al nocciolo. Agli anni
sessanta.
Gli anni sessanta sono stati il punto di svolta del
Novecento, qualcosa di esatto, netto. Vuoi perché la guerra era oramai lontana
vent’anni, e se ne cominciava a sentire un po’ meno il cattivo odore, vuoi
perché ogni epoca deve dare per forza una bella sterzata, per restare viva e
rigenerarsi, un mutamento radicale, un cambio di direzione importante.
La musica, per esempio, deve l’avvio, il la dell’orchestra, della propria
rivoluzione di quegli anni, all’Inghilterra. Un tributo dovuto. E’ vero che
l’America aveva già dato, e Bob Dylan ne era la prova vivente, ma la vera
ribellione da tutto ciò che era oramai incartapecorito, in via di disfacimento,
arrivò dall’Inghilterra. Lì, prese avvio una sorta di sovvertimento generale:
la musica, ma anche i costumi, il modo di vestire, di muoversi, di vivere, di
viaggiare, di sognare, di parlare, di scrivere, di cantare, di leggere, di
vivere – soprattutto, di vivere. Poi, la cosa scivolò via in ogni parte del
mondo, in ogni paese.
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Queste storie si muovono proprio su quel sovvertimento,
sulle sensazioni, sui profumi di una gioventù che aveva molto da dire. Magari
accadde che alcune cose vennero dette male, o furono mal comprese, con
conseguenze non sempre degne. Ma, quando si muove la folla, può accadere che ci
sia qualcuno che si prenda un bel pestone, fa parte della forza della massa. I
giovani, va detto, sono sempre dei grandi rivoluzionari e dei grandi sognatori
- con il vigore della gioventù si può fare molto -, e questo vale anche in
un’epoca come la nostra, dove spesso i ragazzi vengono considerati alla stregua
di una banda di cialtroni.
Questa storia inizia su una salita, in una notte di neve,
che va verso una chiesetta e un cimitero. E finisce con un punto interrogativo.
Ci sono storie e storie che vanno a finire in altre
storie, altre vite, altri sogni o amarezze. La vita sa essere bastarda sempre, in
ogni stagione, con qualcuno.
Ci sono ragazzi che suonano e altri che li stanno ad
ascoltare. C’è uno che vuole fare il mago, e intanto impara la vita.
C’è una band che diventa cento, mille, centomila band.
Perché quattro ragazzi che suonano e sognano di vivere suonando, ci sono e ci
sono stati e ci saranno in ogni parte del mondo, in ogni cantina umida e in
ogni soffitta polverosa.
I nomi sono inventati, alcune storie si rifanno a fatti
accaduti a quel tempo, altri fatti - date e tutto -, quando sono citati, come
mio solito fare, sono quasi sempre esatti.
Queste storie si leggono con il cuore, prima che con la
mente, e qualcosa, di sicuro, nell’anima, vi resterà per sempre.
Se solo vi riconoscerete in un niente, in una sensazione,
in una piccola parte di una qualche storia, è perché avete messo dentro, in
qualche posto, in un momento che ora magari non ricordate, in una notte di neve
o in un mattino d’estate, almeno un sogno, forse rimasto lì ad aspettare, ma
non ce l’avete messo lì per caso.
A volte, i sogni non si realizzano, non fanno dormire,
fanno dannare l’anima, ci si spende una vita, ti si presentano sotto forma di
rimpianti, e sanno fare un male boia, ma far finta di non sognare è, di per se,
già un peccato.
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