sabato 1 dicembre 2012

di notte, di luna e di falò

il mio amico Cesare






stamattina avevo l'appuntamento con Adelmo... il suo sms: Gabry, ti aspetto da Riccardo, mezzogiorno va bene? se puoi, grazie...
sto per uscire di casa, che sento squillare il telefono... è Giuliano, un vecchio amico di estati lontane anni luce...
con Giuliano abbiamo imparato i primi accordi sulla chitarra, quelli di Girl dei Beatles... la suonammo tutta l'estate...
va detto, si sapeva fare solo quella... mentre intorno a noi andavano bionde trecce e occhi azzurri tuoi, noi ci si provava...
Giuliano era uno che ce la metteva tutta a fare il verso di Lennon, quello chiaro di chi sta lì a tirare uno spinello...
ma noi si faceva diverso, come se stessimo abbracciati a una donna stretti stretti e si stesse a farle chissa cosa poi...
insomma, ci veniva bene, ecco... si voltavano tutti... smettevano le bionde trecce di Battisti e ci ascoltavano cantare...
Le bionde trecce attirano più fica, diceva Giuliano... sì, perché, a quei tempi i Beatles erano passati e non ancora tornati...
ci si fece una malattia, Giuliano, su quella cosa delle bionde trecce che tirava più delle canzoni dei Beatles, questo va detto...
vabbè... al telefono mi fa: Aspettami un attimo, che vengo a portarti una cosa che ti piace... ora, mettetevi nei miei panni...
uno al telefono che ti dice: Vengo a portarti una cosa che ti piace... ne avrò pensate centocinquantamila, e non c'ho preso...
Giuliano ha una macchina che sembra uscita dai film di 007 o dai fumetti di Diabolik: sembra sempre lì lì per volare...
Giuliano, ora vive un po' lontano... ci si vede ad ogni morte di papa... e ci si sente solo per dirci: Oh, lo sai chi è morto?...
insomma, le estati di Girl e delle bionde trecce sono davvero lontane... a pensarci bene, non si sente nemmeno più l'eco...
resta quel ssssshhhh che oggi ti fa più pensare ad altro, che ad uno spinello... e qualche miliardo di risate fatte, allora...
Giuliano sta a Gradisca d'Isonzo, con una figlia, Marta, e una donna che dovrebbe chiamarsi ancora Antonella...
da Natale, mi ha scritto solo una mail: Ho letto Per Amici Assenti. Bello. Bravo.Giuliano... nemmeno nel west si faceva...
allora, mi arriva con la sua macchina infernale, scende, dice: Ciao, u signur, fa freschetto, neh... entra dentro come un ladro in fuga...
in mano c'ha un paio di pacchetti: uno bello grosso e l'altro meno... mi abbraccia, e mi dice: Prendi... è il pacchetto meno...
lo apro, un libro, un libro che sa di passato: ingiallito... lo riconosco... E' tuo, mi fa, l'ho ritrovato in cantina, bello come ieri...
è un libro a cui tengo... gliel'avrò prestato trent'anni fa... Me lo dai per un paio di giorni?, mi fece nell'81 o 82...
lo sfoglio, rileggo cose che sapevo, ma che rileggo volentieri... e poi mi passa il pacchetto bello grosso... lo apro...
Cristo!, faccio, tu mi fai Pasqua a settembre!... è una cosa, quella, che mi ricorda un amico di mio padre, Danilo...
anche lui abitava a Gradisca, ma ogni estate veniva da noi... per me, lui era l'estate che arrivava di botto, ecco Danilo...
è stato lui ad abituarmi alla cosa... arrivava sempre con un pacchetto per me: Questo è per Gabriele, diceva, sorridendo...
era la mia Pasqua sotto ferragosto, per dire... c'era un dolce che amavo, che ho mangiato per tanti anni, fino a poco fa...
una chiocciola, una chiocciola fatta di noci, uvetta, pinoli, zucchero, liquore, scorza di limone... e liquore di prugne...
si chiama Gubana, 'sto dolce... la mia pasqua sotto ferragosto, per tanti e tanti anni... Non dovevi, dicevo... Vai in mona, faceva...
così, stamattina, ho fatto pasqua a settembre... Ben ben, fa Giuliano, mentre sale sulla macchina di Diabolik...
era sabato mattina, un sabato di fine agosto, caldo, afoso... il nostro amico ha preparato già una valigetta, poche cose...
a casa lo sanno: il nostro amico, il fine settimana, va fuori, a passare due giorni con amici, a parlare, a pensare...




ha cercato una sua foto in un archivio, un vecchio archivio di giornale, l'ha data ad un amico dicendo: Va bene, questa...
riapre la valigetta, ha dimenticato di metterci un libro: lo fa ora... richiude, si guarda intorno... sfiora la libreria, ed esce...
è sabato pomeriggio, e come tutti i sabato pomeriggio, ora il nostro amico andrà verso il tram e poi la stazione, a sinistra...
ha indossato il suo completo: un bel vestito grigio, e un bel paio di scarpe... si ferma, si accende una sigaretta sulle scale...
ha passi lenti, come a voler misurare la distanza tra il mondo e la luna... tra il suo piano e quello della strada là sotto...
fuori c'è la città dell'estate che sta per finire... gente in maniche di camicia, e signore con abiti di sartoria, impeccabili...
ora, il nostro amico, uscirà dal portone, e svolterà a sinistra, verso il tram e poi verso la stazione, come ogni sabato...
e invece no... ad averci scommesso sulle sue abitudini, stavolta si sarebbe perso tutto il malloppo... si guarda intorno...
appoggia la valigetta a terra, si accende una sigaretta, fa tre lunghi tiri, poi ci fa perdere quella benedetta scommessa...
come mai prima, scende dal tram e svolta a destra... se la gente, in quel momento, lo avesse visto, lo avrebbe di sicuro fermato...
gli avrebbe detto: Che fai? guarda che te, di sabato, di sabato pomeriggio, mica vai di qua, vai di là, tu, a sinistra...
gli avrebbe detto: Guarda, amico, che stai sbagliando strada, non devi andare da questa parte, devi andare verso la stazione...
ma, lì, in quel momento, c'è gente in maniche di camicia, e signore con abiti di sartoria, e non ci fanno caso, al nostro amico
e lui, facendo vincere il banco, va a destra, allontanandosi dalla stazione... a passo lento, come sempre... il suo...
si guarda intorno, sembra cercare un volto, qualcosa del genere... poi va dritto, sempre a destra... mai fatto prima...
il nostro amico, arriva in una piazza, si ferma, si accende un'altra sigaretta... una ragazza gli chiede se ha da accendere...
lui dice di no, e va verso l'ingresso di un albergo... chiede una camera, una camera con telefono... terzo piano, dicono...
lui si volta indietro, verso l'uscita, il portiere lo guarda, si guardano: Grazie, fa, il nostro amico... e sale al terzo piano...
arrivato, si siede sul letto, alza la cornetta e telefona a una donna, poi a un'altra, a un'altra ancora, e ancora e ancora...




il nostro amico è giù di corda, e a quelle donne chiede solo un po' di compagnia, solo un po' di benedetta compagnia...
non chiede sesso, assolutamente no... non è quello il suo pensiero: vuole la compagnia di una donna, inviatarla a cena, tutto qua...
niente sesso, solo compagnia... ma nessuna sembra libera, e una glielo dice in faccia: Non vengo, mi annoi!... ecco, così...
telefona a un'altra donna, Fernanda, con lei ha avuto un rapporto di amicizia e di stima, cose difficili da spiegare, ecco...
Fernanda sarebbe contenta di andare da lui, per fargli compagnia, per una cena... ma non può: suo marito è malato, non può...
Solo un paio d'ore, fa il nostro amico... lei dice di no, non se la sente di lasciarlo da solo, a letto, ammalato di qualcosa...
ha preso il libro dalla valigetta, lo sta leggendo, seduto sul letto... dialoghi di antichi dei e mitologia che sa di sacro...
a cena non scende, non ha appetito... da solo, niente compagnia, una maledizione, perdio... una dannazione, perdio...
arriva la notte, notte di un sabato di fine agosto... non chiude occhio... ripensa ia giorni, agli anni, alle cose fottute e perse
ripensa, il nostro amico, alle donne andate, agli amori appena cominciati e poi finiti, così, come finisce una notte o...
come potrebbe finire una vita, per esempio... l'alba lo sorprende a pensare alle colline che andavano verso il mare...
è domenica... una domenica di fine agosto... calda, afosa... si sente gente che parla giù in piazza, verso chissà dove...
non scende per il pranzo... sente addosso una stanchezza che lo sta divorando... l'inutilità di continuare a vivere...
apre la valigetta, tira fuori un pacchetto, tira fuori delle bustine, le apre, le scioglie dentro a un bicchiere d'acqua...
fa roteare il bicchiere, la polvere delle bustine s'è sciolta, l'acqua è color del miele, si toglie le scarpe, le sistema bene...
prende il libro e prende una penna: butta giù una frase... poi lascia il libro aperto sul comodino, la penna in mezzo...
prende il bicchiere e GIU'... ingolla tutto quello che contiene: acqua e polvere dissolta, come per magia, o per gioco...
si sdraia sul letto, vestito, perfettamente vestito... Tutto questo fa schifo. Non parole. Non un gesto. Non scriverò più.
quando lo troveranno, la sera di quella domenica, sarà troppo tardi: il nostro amico è bell'e che morto da ore...
sul comodino: le bustine vuote, appena un'idea di polvere e un libro aperto con sopra una frase e una penna...
Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi. ... il libro: Dialoghi con Leucò...
il nostro amico Cesare Pavese, è morto così, da solo, in un albergo: Roma, la domenica del 27 agosto del 1950...







Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

CESARE PAVESE 1950


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