sabato 1 dicembre 2012

il poeta di Venezia

il mio amico Antonio






vi dico la verità... io, quelli che mettono in copertina delle riviste non li conosco... cose tipo: Paolo lascia Marta?...
forse voi donne ne sapete di più, non so... ora, non dico di trovarci sempre Vasco Rossi Jovanotti o Carlo Verdone...
ma, Cristo!, questi da dove saltano fuori? li chiamano attori, attrici... ecco, li dobbiamo aggiungere ai santi e navigatori...
insomma, io ero rimasto alle riviste con copertina con su qualcosa di famoso, ecco... devo essermi perso qualcosa, penso...
le edicole sono diventate un po' come le telenovelas: non ci trovi attori, da quelle parti... ci trovi bonazzoni e gnocche...
con un andazzo del genere, mi sa che la Magnani, la Vitti e altre del tipo, mica ce la facevano a la Magnani, la Vitti e tutto...
poi, l'occhio, dopo quella carrellata di Ma chi li ha visti?, mi cade su una notizia... tre righe, intendo, forse meno, a pensarci...
la notizia mi ha incuriosito... ho comprato la rivista dei miracolati da questo mondo di fessi, e me la sono portata a casa...
a pagina settemiladuecentocinquanta, c'era l'articolo che mi interessava: l'ho letto, e mi sono messo a sorridere...
pensavo che fossero scomparsi da almeno una cinquantina d'anni... ma se ci pensi, ci senti su ancora l'odore del passato...




 


cose che noi abbiamo visto solo nei film neorealistici di De Sica o di Steno... faccende d'altri tempi, insomma, altre stagioni...
erano quelli da cui c'andavano per rispondere alla lettera d'amore di un'amata o di un fidanzato, rossi rossi in faccia...
dovevate esserci: arrivava la lettera - spesso gliela portava un confidente, un amico comune, mai il postino, quello no...
arrivava la lettera, e scappavano di corsa sulle scale, andavano in camera, si chiudevano la porta alle spalle, con l'ansia nel cuore...
poi c'era il rito... sì, perché per aprire una busta che contiene una lettera d'amore, non si fracassa mai una busta, si fa piano...
a volte c'era lì un tagliacarte, altre volte un paio di forbicine, più spesso si infilava un dito: piano piano che sennò si sciupa...
la faccenda poteva durare un attimo o una manciata di minuti, ma sempre con addosso una fottuta ansia di leggere quelle parole...
una volta aperta la busta, tiravano fuori la lettera, ripiegata in quattro, e mentre la sfilavano via si guardavano alle spalle...
certe volte la madre, o qualche altro rompicoglioni, chiamava da sotto: E' pronto, si mangia!... c'erano i minuti contati, ecco...
aprire la lettera ripiegata in quattro era un altro rito... prima ne respiravano l'odore, per ritrovarci dentro un niente dell'amato...
c'era chi faceva svelto, e chi lentamente come fosse la reliquia di qualche santo che arrivava da un qualche paese d'Oriente...
da sotto, perché qualcosa avevano capito, e con il preciso intento di rompere i coglioni, continuavano a chiamare...
tac, la lettera era aperta, lì, davanti, con su una scrittura familiare, di traverso, arzigogolata, male o ben scritta, era lì, davanti...
ci scappava un sorriso, con il cuore a mille, gli occhi che ne misuravano la lunghezza o la ricerca di un impensabile Addio...
una lettera d'amore, allora, non iniziava mai con il nome della donna: oggi, se esistesse ancora sarebbe: Anna, ti penso un casino...
una lettera d'amore, allora, iniziava leggera, come lo svolazzare silenzioso di una farfalla sulla tua spalla: Mia cara amata...
ecco, vedete? già l'avvio è sereno, distensivo... ti metteva comoda, a sedere sul sofà, ti toglieva subito quella dannata ansia...
poi c'era scritto cose che sapevano di poesia, magari scritte con mille errori e senza nemmeno una doppia, ma era bellissima...
dovevate vederla, lei, arrivare all'ultima frase: Non vedo l'ora di riabbracciarti, stringere la lettera al petto e sorridere felice...
ma questo era un caso, perché, cinquanta, sessant'anni fa le cose non erano proprio così: c'era chi non sapeva leggere né scrivere...
se t'arrivava una lettera di tua sorella la faccenda si poteva risolvere abbastanza ben: si andava dal prete e il prete leggeva...



il prete sapeva annacquarla, la lettera, sapeva metterci un padreterno e un'avemaria anche questi se non c'erano scritti sopra
sapeva metterci che era un bene per l'anima, quello di donare alla parrocchia un po' di grano o castagne o qualche spicciolo...
sapeva anche rispondere, a quella lettera: tu non sapevi scrivere, ma ci pensava il prete a farlo per te: certe cose, però, le cambiava...
se nella risposta si diceva che avrebbe di sicuro portato delle offerte al prete, il prete queste cose mica ce le metteva dentro...
e fin qui passi... il prete ci metteva su il proprio tornaconto, ma il servizio alla meglio te lo faceva, e tu eri una persona contenta...
se, però, la lettera non era di tua sorella, ma del tuo amato, be', qui la faccenda si complicava un po': intanto si escludeva il prete...
escluso il prete per ovvie ragioni, restavano pochi altri: o un notaio, anche allora caro come oggi, o un conoscente, ma a volte...
a volte si preferiva andare da uno scrivano: quello che lo faceva di mestiere, che stava là solo per leggere e scrivere in poesia...
allo scrivano non gliene fregava un cazzo di quel che c'era scritto sopra: era il suo lavoro: te la leggeva e se volevi rispondeva...
lo scrivano aveva una bella calligrafia, svolazzi sulle lettere e altre cose... lo scrivano sapeva mettere in bellacopia le tue idee, ecco...
certi scrivani sapevano fare di più, sapevano inventarsi lì per lì delle frasi d'amore, qualcosa che sapeva anche di poesia...
e io pensavo che fossero scomparsi da almeno una cinquantina d'anni... ma se ci pensi un attimo, ci senti su ancora l'odore del passato...
se fino a una settimana fa andavi a Venezia e passi per campo Santa Margherita, potevi vedere qualcuno pisciare contro un muro...
nella monotonia di un ritmo di bongo, e delle pisciate lungo le calli vicine, nel campo Santa Margherita c'era un ometto che fumava...
fumava, intanto che pensava a cosa scrivere su certi fogliettini messi lì, l'uno dietro l'altro, fumava e ascoltava il bongo ta-tatam- tam tata
a un certo punto lo vedevi, gli veniva una cosa in mente, tirava su una penna e prendeva un fogliettino, e ci scriveva qualcosa...




una volta scritto, lo prendeva tra le mani, ci soffia su, come per asciugare l'inchiostro, lo arrotolava e ci metteva un elastico...
e poi, al ritmo del bongo tirava il rotolino dentro a una cassettina di legno: un gioiello, una cosa da farti rimane secco, per dire...
se tu passavi di là e c'avevi da fare una telefonata alla tua ragazza, tenevi il telefono in mano e pensavi: Cosa le dico, adesso?...
se passavi davanti al banchetto dove stava Antonio Melis, potevi pizzicare tra quei rotolini, magari dare un'offerta, e poi andare...
magari andava a finire che tiravi su il rotolino con su scritto: I fiori stanno perdendo il loro colore e stanno morendo... non era cosa, ecco
be', quella frase dovevi metterla via per altre occasioni della vita... ma, ma potevi tornare da Antonio e pizzicare di nuovo...
tiravi su un altro rotolino e magari stavolta era quello buono... usciva la frase da dire: Sei il mio fiore che non muore mai... per dire...
ma potevi anche avere da dire qualcosa in un messaggio, a un amico a un padre, a una madre: Antonio aveva la cassettina aperta...
bastava andare nelle callette e arrivare a campo Santa Margherita: lui stava là, cassettina e tutto: frasi di poesia e il resto...
in una città dove per prenderti un caffè seduto devi accendere un mutuo, uno come Antonio, un poeta dei nostri tempi, non ci stava bene...
così, visto che tanto lì, a Venezia, di macchine in divieto di sosta non c'hanno un cazzo, i vigili sono andati a trovare Antonio...
nemmeno l'hanno trovato, stava a prendersi un panino... sono arrivati e, invece di pizzicare un fogliettino, hanno preso tutta la cassetta...
qualcuno potrebbe pensare che quella vigilessa avesse tante cose da dire al suo amato e non volesse lasciar lì qualche spicciolo,
che magari volesse scegliere con calma e tranquillità la frase adatta al suo scopo... e dopo riportare la cassetta ad Antonio, il poeta...
no, gliel'ha sequestrata, come si dovrebbe fare con la droga, le armi e tutti i soldi che i politici ci rubano ogni santo giorno...
invece di andare a sequestrare i soldi dei politici ladri e delinquenti, hanno sequestrato le poesie di Antonio, roba da matti...
sì, perché per far dono di una poesia, ci vuole una licenza: un permesso per regalare sogni... per regalare frasi di poesia...
questo mondo è fottuto, si sa, ma c'è pure chi fa di tutto per fotterlo ancora meglio... i politici ladri vanno in tv, Antonio a puttane...
Antonio è un poeta, scrive cose d'amore, d'amicizia, sui piccioni e sulle palme... lo fa in uno sputo di una piazza, un niente...
ma a Venezia, si sa, si paga anche l'aria... e paghi un bicchiere d'acqua minerale come fosse benedetta da Cristo in persona...
tanta gente lo ha incontrato per le strade d'Italia... a Venezia, Antonio, ha incontrato la burocrazia: la vera piaga di questo paese...
non sto parlando di violare le Leggi, sto parlando di saperle applicare, di metterci il cuore, e poi di guardare la gente, negli occhi...
dice Antonio: Li perdono perché io voglio bene a tutti... Però è un fatto che solo a Venezia mi è capitata una cosa simile... Punto.


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