giovedì 7 febbraio 2013

james joyce e italo svevo

due uomini e una città: Trieste









Nell' appartamento di via Donato Bramante, lungo la salita per San Giusto, lui parlava il triestino che sentiva nella città vecchia...
con lui c'era sempre Dario de Tuoni, un irredentista triestino molto eclettico, mezzo poeta e mezzo giornalista, a volte mezzo ubriaco...
ma c'erano anche altri, che la sera si incontravano in casa Joyce per la lezione d' inglese, poeti, scienziati e scrittori da fare...
su quelle sedie ci sedeva anche un bohémien poliglotta che si faceva chiamare René, e un altro giovanotto, un tale Ravitz...
Italo Svevo gli disse: Professore, sa, anch’io ho scritto, ma ho scritto due libri, che poi non sono stati riconosciuti da nessuno...
siamo nella Trieste dei primi anni del novecento, un altro mondo, una città di confine: un po' italiana, austriaca e slovena...
Trieste, primi del Novecento
Joyce la osserva ogni notte: e ci legge un’anima nobile e malinconica; certo bellissima e decadente, a volte altera ma mai vanitosa...
la osserva di mattina, mentre va alla Berlitz School, e la vede mentre si specchia nelle onde di un mare che ne lambisce le pene...
la osserva nei giorni di vento, mentre con una mano tiene fermo il suo cappello per alleviare i taglienti soffi della Bora invernale...
è vero, Trieste Saba l’amò, ma molto le devono, per il suo fascino misterioso di armoniche contraddizioni, Svevo e James Joyce...
in quelle sere nella casa lungo la salita per San Giusto, si poteva distinguere un impiegato bancario boemo, Frantisek Schaurek...
Frantisek Schaurek era il più anziano, ed era sempre molto preso nella parte di fidanzato ufficiale della sorella di Joyce, Eileen...
Monumento di Joyce a Trieste
Svevo a Trieste c'era nato, e quell'aria triestina era sempre stata un vero balsamo sanifico per tutte le sue ferite dell'anima...
Svevo scriveva libri, ma era costretto a frustrare il proprio talento per dedicarsi da buon borghese ai commerci dell’azienda di famiglia
e forse il suo vero talento di scrittore nemmeno sarebbe venuto alla luce se James Joyce non avesse creduto in lui fin da subito...
grazie a Joyce, i critici francesi  trasformarono La coscienza di Zeno in un caso letterario, regalandogli successo anche se tardivo...
il successo della Coscienza di Zeno alleviò a Svevo le pene della vecchiaia e lo accompagnanò negli ultimi tre anni della sua vita...
insomma, in quella casa di Trieste, lungo la salita per San Giusto, si era venuto a formare un bel quadretto di gente interessante...
un quadretto degno di Praga oVienna, che invece, in quel 1913, aveva come sfondo la città di Italo Svevo, di Giotti e di Saba...
Italo Svevo
una Trieste come Parigi, nel suo momento magico letterario, alla vigilia di quella Grande Guerra che ne avrebbe cambiato la storia...
va detto che Joyce fu sempre critico nei confronti della società irlandese, così come Svevo lo fu nei confronti della borghesia triestina
Joyce arrivò a Trieste che aveva poco più di vent'anni, e tra quei venti e quelle onde, trovò la pace interiore per dare alla luce l’Ulisse
e così potè riuscire a scrivere che Ombre boschive fluttuavano in silenzio nella pace mattutina dal sommo delle scale al mare...
oppure anche che Sulla spiaggia e piú al largo biancheggiava lo specchio d'acqua respinto da piedi frettolosi dai calzari leggeri...
James Joyce amava Trieste, in un modo così puro e certo scevro di stridori, come si può amare soltanto una patria elettiva...
e pensare che Svevo cercò Joyce solo perché gli insegnasse l’inglese: ne aveva bisogno per curare gli affari esteri della sua azienda...
Joyce amò la grazia remissiva di Svevo, coartato in una vita che non era davvero la sua, gli calzava stretta e lo rendeva nevrotico...

James Joyce
Joyce gli diede la forza di scrivere, e Svevo gli passò il fascino di un maestro decadente e una maggiore profondità emotiva...
va detto che quel quadretto che si ritrovava  lungo la salita per San Giusto per le lezioni d'inglese era davvero cosa d'altre stagioni...
e va detto che quel quadretto restava sempre abbagliato dalla rossa bellezza irlandese di Nora Barnacle, la compagna di Joyce...
ma le lezioni d'inglese di Joyce veivano spesso interrotte dai figli, che arrivavano di corsa urlando qualcosa in dialetto sangiacomino...
bisogna dire che Joyce insegnava di malavoglia, e spesso si lascia andare a qualche disquisizione letteraria, o a dei fottuti scherzi...
con de Tuoni, Joyce vagabondava per le notti triestine, annaffiandole con l' Opollo di Lissa, che si faceva poi sentire sulle gambe...
con l'Opollo di Lissa sulle gambe e in testa, Joyce citava Verlaine: O triste, triste était mon âme a cause, a cause d' une femme...
erano gli anni dei fermenti psicoanalitici: le scoperte di Freud... Svevo ci provò anche a intraprendere l’analisi Freud, andò male...
Ulisse

Joyce, inconsciamente, fece sua la teoria di Freud, e  provò ad applicare il metodo delle libere associazioni alla scrittura...
La coscienza di Zeno
e perdio se ci provò!... e se andate a leggere le ultime 50 pagine dell'Ulisse poi da soli capirete cosa voglia dire flusso di coscienza...
va detto che Ulisse e La coscienza di Zeno sono legati da due filamenti sottili, che si annodano stretti stretti nel cuore di Trieste...
e da quella casa in via Bramante, ci sono passate le anime di due uomini che la vissero e che la amarono, e ci lasciarono il cuore...
Trieste: la città vecchia
Trieste ha fatto loro l’impareggiabile dono dell’amicizia; e a tutti noi altri ha regalato due indimenticabili eterni capolavori letterari....
Joyce andò a finire i suoi giorni a Zurigo, e lì ci morì la mattina del 13 gennaio 1941, per un'ernia, con la depressione nel cuore...
e anche Svevo non morì a Trieste, era dalle parti di Bormio, alle terme, rimase coinvolto in un incidente, ma non morì subito...
morì più tardi, in ospedale, a Motta di Livenza, era settembre, un bel settembre, aveva 66 anni, e non aveva mai smesso di fumare, perdio!

mercoledì 6 febbraio 2013

baudelaire e borges

nella prossima vita cercherei
di fare più errori



  
Borges ammette ciò che tutti gli idealisti ammettono, il carattere allucinatorio del mondo, paradossale nei paradossi...
Noi abbiamo sognato il mondo... lo abbiamo sognato misterioso, visibile, ubiquo nello spazio e fermo nel tempo...
abbiamo ammesso che il mondo, nella sua architettura, abbia tenui ed eterni interstizi di assurdità, per sapere che è finto...
Non so se torneremo in un secondo ciclo come le cifre d'una frazione periodica, diceva a se stesso il vecchio scrittore argentino...
e con la voce spezzata in quarti di tono: Se io potessi vivere un'altra volta la mia vita nella prossima cercherei di fare più errori...

Jorge Luis Borges
Sì, Jorge Luis Borges diceva: Se io potessi vivere un'altra volta la mia vita nella prossima cercherei di fare più errori...
e quando scriveva che Democrito di Abdera si strappò gli occhi per pensare, lo scriveva per il buio che lui conosceva...
chissà quante volte aveva sfogliato qualche spleen di Parigi, per ritrovare la luce fioca di Boulevard Angoulvant...
e quante notti ci saremo persi in quei versi alessandrini per arrivare a capire la malinconia ostinata di Baudelaire...
in quel fottuto malessere esistenziale, assoluto e intriso di una incapacità di reagire alla noia devastatrice da far male...
Non proverò neanche a raccontare Baudelaire a coloro che non lo conoscono, Cristosanto, mi sarebbe impossibile...
e mi chiedo come si può raccontare Baudelaire partendo da niente?... giuro, non saprei nemmeno da dove iniziare...
perché Baudelaire è un autore che va letto e riletto, lasciato maturare, invecchiare, nel tentativo di comprenderlo un po'...
e poi di quale Baudelaire parlare?... di quello della mia adolescenza, quello dei “Fiori del male” e del suo fascino?...
oppure del Baudelaire che ho scoperto poi negli anni che sono venuti dopo? Del poeta, dell'amante di ogni forma d'arte...
Charles Baudelaire
quello che stava Au-dessus des étangs, au-dessus des vallées, des montagnes, des bois, des nuages, des mers...
o quello che per lungo tempo ha habité sous de vastes portiques que les soleils marins teignaient de mille feux...
Baudelaire è stato un poeta delicato, ustionato dalla vita, ulcerato dal fottuto dolore e poi rifugiato in sensazioni sublimi...
Baudelaire è stato un poeta pervaso da sentimenti indicibili del vivere e da tensioni estreme verso l’Ideale e l’Assoluto...
Paris change! mais rien dans ma mélancolie n'a bougé!... scrisse ubriaco perso in una notte spenta di rue Mouffetard...
al lume incerto di un mozzicone di candela esalta il tedio esistenziale, e se ne ingolla una bella fetta nell'acool da schifo...
Baudelaire provoca sconforto e follia, descrive la depressione più nera... A chiunque ha perso ciò che non si trova più...
I fiori del male fecero così incazzare la società letteraria che venne considerato lo scarafaggio da schiacciare di corsa...
scrisse di droga, dopo averla provata... scrisse di sesso, e non si risparmiò proprio niente... e scrisse d'amore, sì...
studiò Delacroix e dedicò un bellissimo scritto a Constantin Guys, abile disegnatore ed illustratore della vita moderna...



passò lunghe notti in Boulevard Haussmann con amici come Courbet, Champfleury, e fino agli ultimi giorni, Manet...
definì il gentiluomo che passaggia con "Flâneur", che Walter Benjamin adottò come concetto analitico e come stile di vita...
Benjamin vide il flâneur come il prodotto della vita moderna e della rivoluzione industriale, idea piuttosto marxista...
Baudelaire tra l’ansia d’Infinito e la consapevolezza della caducità degli eventi, votato alla solitudine della folla metropolitana
Baudelaire fu deriso, sputato, e intanto lui traduceva e si scriveva con quel geniaccio del mistero che era Edgar Allan Poe...



secondo Baudelaire la bellezza è qualcosa di ardente e triste, qualcosa di un po’ vago, che lascia adito alla congettura...
e intanto s'appuntava queste parole: Assomiglia al principe delle nuvole il Poeta, che rotto alle tempeste,  irride all'arciere...
in qualunque veste lo guardi, Baudelaire, al netto di posizioni che non condivido, mi accompagnerà ancora e per sempre...
"Chi sposa facilmente la folla conosce godimenti febbrili, di cui saranno sempre privati l’egoista e il pigro"...
dalla frequentazione dei bassifondi di Parigi ha portato fuori le sensazioni e le facce scure della notte, l'ha fatto anche per noi...
Se potessi vivere di nuovo comincerei ad andare scalzo all'inizio della primavera e continuerei così fino alla fine dell'autunno.
Bei momenti. Perchè, nel caso non lo sappiate di quello è fatta la vita, solo di momenti, e non vi perdete di vivere l'oggi.