mercoledì 12 febbraio 2014






 Il mio amico
John McDannyfunny












Quarant’anni prima non aveva pensato a niente di simile, per la sua vita.
Era tutta là, davanti… mille colori, le luci, i lampioni a gas che sfumavano in una luce color lillà sopra i viali sporchi spazzati dal vento in un’alba buia e fredda di neve, quando il ferry-boat accostò al molo tra mille difficoltà, in una schiuma lezza delle cose di ieri, avanzi di vita, cose gettate, inutili rimasugli e l’odore del mare sulla faccia e nei polmoni. Stridio di ferraglia. Il vento della neve. E lui se ne stava lì immobile come un Cristo in agonia. Aveva sette anni allora John McDannyfunny, e un padre morto un mese prima che lui venisse al mondo. La vita, quando decide di darsi da fare, sa essere davvero puttana. Aveva sette anni John McDannyfunny, e una madre che suonava l’arpa solo di tanto in tanto, e poi magari la suonava per una notte intera, come se per farlo avesse avuto bisogno di riprendere fiato, o la rincorsa.

Se un libro potesse avere musica dentro, come un'anima che suona, in queste parole ci avrei messo questa.





Reginald Begiset,
uno dei tanti
cani randagi




Dottor Begiset,
che delusione! V’ho supplicato a mani giunte, ma voi niente. Eppure sapevate bene di mettere a repentaglio la vita di centinaia e centinaia di persone perbene. Tanto per non farvi dormire nei prossimi cent’anni, sappiate che sessantasei dei miei uomini si sono suicidati e altrettante famiglie versano in condizioni disperate. Ma è questo il modo di trattare la gente? Mi avete messo in una situazione di merda: sono rinchiuso nel mio ufficio, quello del cantiere, e i 134 superstiti del suicidio di massa, mi hanno asserragliato e vogliono i soldi, e se non li pago, prima o poi verranno su e mi massacreranno. Sapete che cosa sto per fare? Sto per puntarmi addosso una pistola, mi ucciderò e voi sarete responsabile anche di questa morte. Ma sappiate che non vi invidio. Bastardo.
Paul T. Winston



Ci chiamano

cani randagi...

 

 

 

 

Ci sono una cittadina inglese dei primi del Novecento e i suoi abitanti. E poi l’America e i suoi abitanti.
C’è un vecchio macchinista di locomotive a vapore che si è messo a scrivere un libro sulle storie che ha sentito raccontare. Storie di un paese lontano: l’America.
C’è un vecchio macchinista di locomotive a vapore che, nelle giornate nevose d’inverno, racconta a Jody le storie del loro paese, Anywhere, Inghilterra.
Ci sono uomini alla perseverante ricerca del loro sogno e c’è chi, invece, sogna anche ad occhi aperti.
C’è uno che vende i colori delle farfalle, per dire, e uno che cerca la tomba di Alessandro Magno.
C’è il signor Mod che impazzisce nell’astruso concetto delle Musiche Parallele e ci sono due fabbriche di vasellame e simulacri perse tra le fosche nebbie d’autunno.
E c’è un posto chiamato Maryliwood che nessuno sa esattamente dove sia.
C’è chi imbottiglia aria in ogni parte del mondo, e chi di bottiglie ne ha scolate troppe e c’è rimasto secco.
A un certo punto, c’è uno che ha trovato il sistema di fermare il tempo, oppure di farlo correre a rotta di collo. C’ha passato su notti intere, e mesi, e anni… poi c’è riuscito. A suo modo, ma c’è riuscito.
Ci sono le mani della signorina Pochette e gli occhi, tristi, di Elise.
C’è uno che si fa rinchiudere dentro una campana di vetro, e uno che fa riattaccare la campana al campanile di una chiesa di un villaggio sperduto nel west.
C’è uno che un giorno ha messo un soldo dentro una fottuta scatola di latta, e poi ci ha tirato su una banca.
C’è la società di ieri, e quella di oggi. Gli stessi illusi sognatori perdenti. Perché ognuno può sognare e realizzare ciò che vuole: la musica più sublime o le parole più belle, poi, di quel che sarà delle nostre opere, be’, quello è compito del destino, e con questo non ci si discute mica tanto.
Grandi sparatorie non ce ne sono. Ma si muore lo stesso. E i treni passano proprio a un niente dalla casa del vecchio Sly Grass, pittore di insegne. Ci sono gli indiani, ma solo raccontati, di quello che hanno subito nei secoli qui non se ne parla. E c’è un posto dove piove ogni santo giorno. E nessuno ha mai capito davvero perché.